Un
“Memoriale” dei Presidenti della Repubblica?
Tutti
i grandi Stati onorano i propri “Capi” antichi e recenti. Sono
gli Stati che, quale ne sia la dimensione territoriale, quando è il
momento, accettano le sfide della Storia e, se necessario,
combattono. Alcuni vincono, altri perdono. I vinti sopravvivono se
conservano memoria di sé. È il caso del Giappone, che si fonda
sulla memoria degli Antenati.
E
chi è più “antenato” in uno Stato se non il suo Capo? Egli è
la sintesi della sua identità.
Tra
le debolezze “di sistema” della Repubblica attuale vi è la
discontinuità del ricordo dei suoi “Capi”, da De Nicola
all'attuale. Manca un “Memoriale” che li componga nella loro
sequenza. I Presidenti della Repubblica sono narrati in opere
degnissime (per es. in “Parla il Capo dello Stato” del
quirinalista Tito Lucrezio Rizzo) ma le loro effigi non sono raccolte
insieme in un luogo “pubblico”. Per
rendere
omaggio all'Italia i successori dei Re salgono ai piedi della Dea
Roma in cima all'Altare della Patria, voluto dalla monarchia che unì
l'Italia. All'esterno e all'Interno del Vittoriano non manca lo
spazio per sintetizzare i 160 della “unità nella continuità”,
assicurata dal Re Soldato nella stagione più drammatica della sua
lunga storia e l'effigie dei Capi dello Stato dal 1946 a oggi.
Nella
preoccupante riffa in corso sull'elezione del prossimo Presidente
della Repubblica
merita riflettere sulla Sepoltura di Vittorio Emanuele III e della
Regina Elena: un esempio di grande civiltà.
Prima
i vivi...
Quattro
anni orsono, il 15 e il 17 dicembre 2017, giunsero in Italia le salme
della Regina Elena e di Vittorio Emanuele III. La loro traslazione
era stata per decenni in vetta alle richieste dei monarchici
(partiti, movimenti, associazioni...) e, per “ragione sociale”,
dell'Istituto nazionale per la guardia d'onore alle Reali Tombe del
Pantheon. Verso fine Novecento però tra i più prevalse la direttiva
“prima i vivi, poi i morti”. Fu data la precedenza alla richiesta
di abolizione dell'esilio che ancora colpiva Vittorio Emanuele di
Savoia e suo figlio Emanuele Filiberto, nato a Ginevra il 22 giugno
1972.
Il
23 ottobre 2002 il Parlamento approvò la legge costituzionale (in
vigore dal 10 novembre successivo) che esaurì gli effetti dei primi
due commi della XIII disposizione transitoria e finale della
Costituzione. Essi privavano dei diritti politici attivi e passivi
gli ex re di Casa Savoia, le loro consorti e i discendenti maschi, a
ciascuno dei quali era vietato
l'ingresso
e il soggiorno nel territorio nazionale. Rimasero in vigore
l’avocazione allo Stato dei beni degli ex re di Casa Savoia, delle
consorti e dei discendenti maschi esistenti nel territorio nazionale
e l'annullamento di trasferimenti e costituzioni di diritti reali
sugli stessi avvenuti dopo il 2 giugno 1946, giorno “convenzionale”
dell'avvento della Repubblica, che in realtà data dal 19 giugno
seguente, come recita la “Gazzetta Ufficiale”, citata da Argenio
Ferrari in “Lex et Libertas in potestate Regis” (ed.
BastogiLibri).
La
sorte delle Salme finì in un cono d'ombra.
Finalmente…
quei giorni
Nondimeno
alle 7.30 del 15 dicembre 2017, mentre appena albeggiava, il feretro
della regina Elena fu estumulato in forma privata nel cimitero Saint
Lazare di Montpellier, la città ove era morta il 28 novembre 1952
ed era stata inumata. La sua Famiglia fu rappresentata dall’avvocato
sanremasco Luca Fucini, componente della Consulta dei senatori del
regno, munito di apposita delega. La
cerimonia venne ripresa dalle reti televisive France 2 e Montpellier
Actualité, previamente informate dalla Mairie,
malgrado la raccomandazione di assoluta riservatezza.
Alle
17.30 il feretro giunse al santuario-basilica di Vicoforte. Fu
accolto dal conte Federico Radicati di Primeglio, delegato dalla
Famiglia Savoia “per tutti gli atti necessari a estumulazione,
traslazione e ritumulazione delle salme della regina e di Vittorio
Emanuele III”, e dal Rettore del Santuario, monsignor Bartolomeo
(Meo) Bessone, vicario della Diocesi di Mondovì, poi parroco a
Dogliani e purtroppo rapito dalla pandemia di covid.19. “Don Meo”
impartì la benedizione di rito ed evocò la figura della regina
“Rosa d'Oro della Cristianità”. Uno storico, che da mesi
affiancava il conte Radicati, aggiunse che per allietarsi dell'evento
non era necessario essere monarchici; bastava sentirsi italiani. La
lapide reca la scritta “Elena di Savoia/ Regina d’Italia/
1873-1952”. Presenziarono il sindaco di Vicoforte, Valter Roattino,
e l’architetto Claudio Bertano, autore del progetto monumentale.
Tempestivamente
informata dell'avvenuta traslazione, con una nota alla sede di Parigi
dell'agenzia Ansa la principessa Maria Gabriella di Savoia ne dette
annuncio alle 17.45, poco prima che iniziasse la conferenza stampa
convocata dal sindaco di Montpellier per le 18. Ringraziò monsignor
Luciano Pacomio, vescovo di Mondovì, catechista insigne, il Rettore
del Santuario e quanti avevano operato “nella discrezione
raccomandata dal vescovo” e aggiunse: “A nome e per conto dei
discendenti dei Sovrani che vissero cinquantun anni di matrimonio in
unione con gli italiani nella buona e nella cattiva sorte e mentre
ricordo mia zia Mafalda, morta tragicamente nel campo di
concentramento in Germania, ove era stata deportata dai nazisti,
esprimo profonda gratitudine al Presidente della Repubblica, Sergio
Mattarella, che propiziò la traslazione delle Salme dei Nonni in
Italia, in prossimità del 70° della morte di Vittorio Emanuele III
e nel centenario della Grande Guerra, per la ricomposizione della
memoria nazionale”. Immediatamente diffusa in apertura dei
telegiornali della sera, la notizia fece supporre che fosse imminente
la traslazione della salma di Vittorio Emanuele III. Estumulato nella
notte del 16 dal retro dell'altare di Santa Caterina di Alessandria
d'Egitto, il suo feretro arrivò a Vicoforte sul mezzogiorno del 17
dicembre e fu tumulato con onori militari e l'esecuzione del
“Silenzio” con la scritta “Vittorio Emanuele III / re
d'Italia/1869-1947”. Su entrambe le arche è incisa la Stella
d'Italia.
Così
Vittorio Emanuele III e la Regina Elena vennero ricongiunti in
Italia.
A
quanti domandarono perché fossero resi onori militari alla salma del
re fu ricordato che Vittorio Emanuele III morì quattro giorni prima
che entrasse in vigore la Costituzione della Repubblica. A differenza
di quanto solitamente si dice, non morì affatto “in esilio”. Si
congedò dalla vita mentre era cittadino italiano all’estero, nella
pienezza dei diritti politici e civili di ex capo dello Stato e delle
Forze Armate.
Gli
antefatti
della
Traslazione.
Perché
Vicoforte?
La
tumulazione delle salme di Vittorio Emanuele III e della Regina Elena
a Vicoforte fu il punto di arrivo di un lungo percorso. La scelta
venne formulata a
Roma in una seduta della Consulta dei senatori del regno il 19 marzo
2011. Fu scartato il Pantheon per indisponibilità di spazi idonei
alla dignità di Tombe Reali e per prevedibili intralci di varia
natura. Del pari venne ritenuta non idonea la Basilica di Superga,
mausoleo dei Re di Sardegna (a eccezione di Carlo Emanuele IV,
sepolto a Roma), mentre Vittorio Emanuele III fu re d'Italia.
Voluto
da Carlo Emanuele I, duca di Savoia dal 1580 al 1630, quale mausoleo
della Casa il Santuario-Basilica di Vicoforte sorge nel cuore della
Provincia Granda, seconda “culla” dei re sabaudi che la vissero
intensamente, dai Castelli di Racconigi e Valcasotto alle case di
caccia disseminate nelle valli. Vittorio Emanuele III partì per
l'Egitto il 9 maggio 1947 col titolo di conte di Pollenzo, il borgo
che ospita la vasta tenuta regia poco distante da Vicoforte, ove
seguì personalmente i poderi modello avviati sin da Carlo Alberto.
Infine il Santuario, circondato dal verde e immerso nella quiete
propiziata dal vasto spazio tra la sua facciata e la Palazzata, è
affiancato dall'antico monastero cistercense, poi seminario
vescovile: un complesso identico da secoli e incontaminato. È il
Grande Silenzio che si addice al riposo.
Il 7
gennaio 2013, previ ripetuti colloqui con il Rettore del Santuario,
la principessa Maria Gabriella di Savoia e il presidente della
Consulta espressero al vescovo di Mondovì, monsignor Luciano
Pacomio, il “vivo desiderio di congiungere le salme di Vittorio
Emanuele III e della regina Elena in Italia” e precisamente nel
Santuario di Vicoforte, “che bene si addice ad accoglierle”.
Prospettarono una cerimonia funebre da celebrare “in forma
strettamente privata, così unendo in morte due italiani che vissero
insieme cinquantun anni di matrimonio”.
Anche
per far meglio apprezzare il Santuario da quanti ancora non lo
conoscevano, il 16 marzo 2013 venne organizzato a Vicoforte il
convegno di studi “Incontro Umberto II. Trent'anni dopo” con la
partecipazione di Amedeo di Savoia, duca di Aosta, che nel 1997 aveva
presieduto a Vicoforte il convegno su “L'Italia nella crisi dei
sistemi coloniali fra Otto e Novecento”, con la partecipazione di
Eddy Sogno, Oreste Bovio, Franco Bandini, André Combes, Fernando
Garcia Sanz, Antonio Piromalli e altri storici.
A conclusione dell'incontro del 2013 la presidente della Provincia di
Cuneo, Gianna Gancia (poi consigliere regionale del Piemonte e dal
2019 deputata al Parlamento europeo), nel preveggente discorso “Casa
Savoia nella memoria della Granda” disse: “Sentiamo il dovere di
accogliere nella nostra terra le salme di chi certamente amò la
Granda, il Piemonte, l'Italia: Vittorio Emanuele III, le cui spoglie
giacciono ad Alessandria d'Egitto, in una landa ogni giorno a
rischio; e la regina Elena sepolta a Montpellier. Le loro salme sono
emblema di una separazione, di una lontananza, che viviamo come una
lacerazione da una parte di noi. Lo Stato non fa? Facciamolo noi
d'intesa con la Principessa Maria Gabriella di Savoia, che bene
conosciamo quale custode delle memorie della Casa. Dobbiamo averne il
coraggio”.
Il
22 aprile 2013, sentiti il consiglio di amministrazione del Santuario
e il suo rettore, il vescovo di Mondovì, Luciano Pacomio, accolse
l’istanza della Principessa e della Consulta. Ricordò che Carlo
Emanuele I in visita al Pilone dal quale ebbe origine il Santuario
aveva affermato “questa terra è santa, deponiamo i vecchi
calzari”. Chiese però l'impegno a “mantenere il profilo
strettamente privato” della tumulazione, da attuare “nella forma
più discreta, con la collaborazione dei Responsabili del Santuario”.
Avvalorò l'iniziativa alla luce della parola del salmo 39,13: “Siamo
tuoi ospiti, pellegrinanti, come tutti i padri nostri”. Così
andava fatto. E così venne fatto.
Quattro
anni dopo, a coronamento di lunghi preliminari sorti da fortunate
convergenze, il 10 maggio 2017 il principe Vittorio Emanuele di
Savoia e la principessa Maria Gabriella a nome delle sorelle Maria
Pia e Maria Beatrice scrissero al Presidente della Repubblica, Sergio
Mattarella, auspicando che il Centenario della conclusione della
Grande Guerra offrisse motivo per
congiungere
le salme del “Re Soldato” e della sua Consorte “in Italia”,
senza alcuna indicazione di luogo.
Previ
numerosi incontri con il Rettore e il presidente della Consulta,
l'architetto Bertano approntò il progetto in fitto dialogo con la
Soprintendenza Archeologica Belle Arti e Paesaggio per le Province di
Alessandria, Asti e Cuneo. Venne avviato l'intervento nella Cappella
di San Bernardo per “la realizzazione di monumenti/arche funerarie
in marmo” in cui deporre “i resti di due persone meritevoli di
speciali onoranze”, non nominativamente specificate. Il 6 novembre
il vescovo e il rettore inoltrarono alla Soprintendenza il progetto,
che fu approvato.
Con
rapidità e assoluta riservatezza vennero espletate le complesse
procedure previste dalla deliberazione della Giunta Regionale del
Piemonte 8 maggio 2012, n. 27-3831 per il rilascio di “autorizzazioni
concernenti l'individuazione di siti idonei a tumulazione in località
differenti dal cimitero ex art. 105 D.P.R. 10 ottobre 1990, n. 285 e
art. 12 L.R. n. 2020/2007”.
Acquisiti
ope
legis tutti
i documenti richiesti, ebbero corso estumulazione, traslazione e
ritumulazione. Il 17 dicembre, al termine della sepoltura di Vittorio
Emanuele III, il conte Radicati precisò che tutto era avvenuto
“nelle forme proprie di una cerimonia privata”, “di Famiglia”.
Alcune
incomprensioni
Alle
21 del 15 dicembre 2017 Vittorio Emanuele di Savoia emanò una “nota”
sulla tumulazione della salma della regina Elena “presso il
Santuario di Vicoforte”. Deplorò che fosse avvenuta “in totale
anonimato” e rivendicò il Pantheon per “il riposo dei sovrani
sepolti in esilio”. Con encomiabile tempestività il 18 con i
familiari e ampio seguito egli rese omaggio alle tombe a Vicoforte.
Ribadita la richiesta di immediato trasferimento delle salme al
Pantheon, lamentò che la traslazione fosse avvenuta “in forma
occulta”. In un quotidiano di Roma venne persino insinuato un
oscuro baratto tra intervento del Capo dello Stato e consegna alla
Presidenza della repubblica di misteriose quanto inesistenti “carte”
sull’esito del referendum del 2-3 giugno 1946. Fandonie.
La
traslazione suscitò un ventaglio dichiarazioni polemiche contro la
figura di Vittorio Emanuele III, colpevole dei tre “colpi di Stato”
secondo lo “storico” Luigi Salvatorelli, a volte indulgente a
polemiche inconsistenti. Secondo lui il re era responsabile
dell'intervento dell'Italia nella Grande Guerra il 24 maggio 1915;
della mancata proclamazione dello stato d'assedio e dell'incarico a
Mussolini di formare il governo (28-31 ottobre 1922); della revoca di
Mussolini (25 luglio 1943, quasi sia un demerito), nonché, in
aggiunta, della mancata difesa di Roma e del suo abbandono alla
proclamazione dell'armistizio il 9 settembre (la cosiddetta “fuga a
Brindisi”). Altri aggiunsero la firma delle leggi razziali nel 1938
e le sue conseguenze di lungo periodo nel 1943-1945, particolarmente
gravi nelle regioni governate dalla Repubblica sociale italiana e di
fatto occupate dai tedeschi (al di fuori, dunque, da ogni
responsabilità diretta del re e del governo Badoglio).
I
promotori della traslazione avevano messo in conto la delusione
dell'Istituto nazionale per la Guardia d'onore alle Reali Tombe del
Pantheon (agevolmente componibile con l'adozione, in forma discreta
da convenire con le autorità competenti a consentirla, della
“guardia” anche alle tombe di Vicoforte) e l'irritazione di chi
indica nel re (anziché, come è, nel Parlamento) il “responsabile”
delle leggi razziali. Qualcuno ritenne uno sgarbo non essere stato
previamente informato. Non tutti capirono che era un funerale “della
Famiglia”, non “della Casa”, e che pertanto esigeva il
necessario riserbo, sia per rispetto della precisa richiesta del
vescovo di Mondovì, sia per scongiurare inopportuni schiamazzi di
guitti dell'ultim'ora e, peggio, manifestazioni ostili, che avrebbero
turbato la solennità dell'evento: il ritorno dei Reali nella loro
terra, sotto la cupola ellittica più grande del mondo.
Sin
dal 16 dicembre altri sedicenti “monarchici” protestarono che
“tutti i Reali d'Italia” dovevano “quanto prima trovare
sepoltura nell'unica sede ad essi deputata: la Basilica del
Pantheon”. La complessa e impegnativa sepoltura nel Santuario di
Vicoforte (da taluno sminuito a “chiesetta di campagna”) doveva
dunque essere considerata del tutto effimera e sanata con altra
immediata traslazione. Parlare è facile. Altra cosa è fare.
Tra
le tante professioni di indignazione (“istituti storici”,
parlamentari, circoli e associazioni varie) il sindaco di una città
di qualche peso nella “Granda” dichiarò che non sarebbe mai
andato a pregare in un santuario contaminato dalla salma di quel re.
La preghiera chiede forse un “luogo” che non sia l'“anima”?
A
cospetto di tante dichiarazioni polemiche il presidente della
Repubblica e quello del Consiglio dei ministri, Paolo Gentiloni,
motivarono il concorso alla traslazione come “gesto umanitario”.
Riecheggiò quanto proposto dal vescovo di Mondovì: la “carità”
nei confronti di “due persone meritevoli di speciali onoranze”,
provate dal lutto (la morte della figlia Mafalda d'Assia in campo di
concentramento in Germania; la detenzione da parte nazista della
figlia minore, Maria) al pari di tanti italiani, “pellegrinanti,
come tutti i padri nostri”.
Per
prevenire gesti inconsulti, il prefetto di Cuneo dispose che la
cancellata della Cappella di San Bernardo rimanesse chiusa sino a
quando le tombe fossero tutelate, come sono, da videosorveglianza e
sistema di allarme. Dal 28 dicembre 2017, 70° della morte di
Vittorio Emanuele III, esse furono meta di un numero crescente di
“boni viri” d'ogni Paese che si raccolgono in meditazione su
monumenti evocativi della Storia e, senza bisogno di essere
cortigiani, ripetono con Giacomo Leopardi: “la vostra tomba è
un'ara”.
Settantacinque
anni dopo la discussa vittoria della Repubblica al referendum sulla
forma dello Stato (2-3 giugno 1946), al di là di dispute irrilevanti
e di incomprensibili silenzi, la Traslazione delle reali salme a
Vicoforte può forse propiziare la rivisitazione storiografica del
lungo travagliato regno di Vittorio Emanuele III e nuove risposte ai
molti interrogativi ancora aperti sull’ultimo mezzo secolo della
monarchia in Italia.
Aldo
A Mola
DIDASCALIA.
Se ne parla nel libro “Il Regno di Vittorio Emanuele III
(1900-1946), II- Gli anni delle tempeste (1938-1946). Meditazioni,
ricordi e congedo”, atti di un convegno svolto a Vicoforte il 10
ottobre 2020 (ed. BastogiLibri).