Nel 1983, dopo la morte del Re Umberto II, in Italia si è creata parecchia confusione a tal riguardo, soprattutto (ma non solo) in ambito giornalistico. Eppure le norme sulla successione vigenti in Casa Savoia sono sempre state e rimangono chiarissime e insindacabili. Se così non fosse verrebbe meno il principio fondamentale dell’ordinamento monarchico: l’automatismo della successione.
Verso la metà degli Anni Ottanta, venne pubblicato il volume “La successione dinastica in Casa Savoia”, a cura di Matteo de Nardelli, in cui, sulla base di documenti inoppugnabili, venne chiarito che il successore di Re Umberto II quale Capo della Casa era S.A.R. il Principe Amedeo di Savoia, discendente diretto del secondo genito del Padre della Patria: il Re Vittorio Emanuele II.
Perché questo? In casa Savoia vige la legge salica, cioè la successione di maschio in maschio, ribadita dallo Statuto Albertino del 4 marzo 1848. Nel 1780-82 Vittorio Amedeo III di Savoia, Re di Sardegna, emanò Regie Patenti che precisarono ulteriormente le norme regolanti la successione dinastica. Esse stabiliscono che,
per contrarre matrimonio, un Principe Reale deve chiedere e ottenere il consenso del Sovrano e Capo della Casa se intende conservare il suo status, cioè il titolo e i diritti conseguenti; diversamente perde il rango di erede dinastico e tutti i benefici a esso connessi.
Nel 1970 Vittorio Emanuele di Savoia sposò a Las Vegas la Sig.na Marina Ricolfi Doria in totale e voluto conflitto con le regole della Casa, come del resto dichiarò e scrisse ripetutamente. Dal canto suo Re Umberto II non poté approvare le nozze del figlio, perché, contrariamente a quanto previsto dalle Norme della Casa, Vittorio Emanuele non gli chiese alcun assenso. Non solo, ma il Sovrano apprese del matrimonio del figlio solo a nozze avvenute (
cfr. Vittorio Emanuele di Savoia, Lampi di Vita - Ed. Rusconi, 2002).
Pertanto dal 1970 Vittorio Emanuele decadde dal rango di Principe ereditario, del quale godeva sin dalla nascita, e, come già chiarito nel 1960 da Re Umberto II, venne retrocesso a privato cittadino.
Nel novembre 2006 lo storico Aldo Alessandro Mola, Presidente della Consulta dei Senatori del Regno, pubblicò il saggio “
Declino e crollo della Monarchia in Italia” (Mondadori). Nell’Appendice produsse le sino ad allora inedite lettere con le quali il Re Umberto II avvertì il figlio Vittorio Emanuele delle eventuali conseguenze di un matrimonio non riconosciuto. Data l’importanza di un tale evento per la Dinastia,
il Sovrano ne inviò copia anche alla Regina Maria José (
vedi trascrizione). Malgrado ciò, dieci anni dopo, Vittorio Emanuele convolò a nozze civili a Las Vegas (11 gennaio 1970) e religiose a Teheran (7 ottobre 1971). In tal modo, consapevolmente, rinunziò al rango di principe ereditario e di futuro Capo della Casa di Savoia, per sé e i suoi discendenti.
Senza necessità di pronunce pubbliche né di atti ulteriori, semplicemente in forza dell’automatismo delle norme regolanti la Casa, dal 1970 il Principe Ereditario divenne quindi S.A.R. il Principe Amedeo di Savoia, allora Duca di Aosta. Alla morte di Re Umberto II, il 18 marzo 1983, S.A.R. il Principe Amedeo di Savoia divenne Capo della Famiglia Reale Italiana, anche se molta parte della pubblicistica e le istituzioni repubblicane lo ignorarono o finsero di non saperlo.