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CORRADO SFORZA
                          FOGLIANI LIBERALE DI NATURA
 
CORRADO SFORZA FOGLIANI
LIBERALE DI NATURA

Editoriale di Aldo A. Mola, pubblicato su “Il Giornale del Piemonte e della Liguria”
di domenica 17 Dicembre 2023 pagg. 1 e 6.
Lunedì 11 dicembre 2023 per iniziativa del suo presidente avv. Giuseppe Nenna la Banca di Piacenza ha rievocato Corrado Sforza Fogliani che la guidò per decenni. L'incontro è stato aperto dall'intervento del senatore Pier Ferdinando Casini, che ne ha sottolineato il suo “rispetto delle istituzioni che nel Paese oggi è un principio in via di attenuazione”. Lo scrittore Marcello Simonetta lo ha definito un “Cosimo de' Medici dei nostri tempi”. Il nostro editorialista Aldo A. Mola ha tracciato il seguente sintetico profilo di Sforza Fogliani storico del Risorgimento italiano.   

Un genio poliedrico
   Nel “Ritratto” di Corrado Sforza Fogliani scritto in prossimità del suo 80° compleanno Carlo Giarelli osservò che un suo ritratto a tutto tondo richiedeva «non un semplice profilo, ma un'opera monumentale». Ne ricordò alcuni motti “di famiglia” che gli fecero da viatico e che dispensò ai suoi discepoli: «Non contate sul patrimonio e men che meno sul nome, ma fatevi una posizione personale»; ancora: «fare il passo che la gamba consente»; e, infine, «la vita è solo l'occasione per esprimere le nostre qualità morali».
   Uomo dal multiforme ingegno, avvocato, giurista, banchiere, raffinato esperto d'arte e cultore di tradizioni civili, nella lunga vita esemplare Sforza Fogliani spiccò per coerenza e generosità. La “fede nella libertà”, che all'osservatore disincantato potrebbe apparire contraddizione, gli arrivava dai secoli della sua Casa e dai genitori, che gli furono guida. Era radicata nella consapevolezza delle disparità economiche e sociali, quindi nello statuto intellettuale e costumale dei singoli ma al tempo stesso nella fiducia nell'incivilimento e, in definitiva, nella potenziale bontà di ogni uomo. Questo suo abito intellettuale si espresse in tutti i campi ai quali si dedicò dalla giovinezza alla maturità e all'età avanzata, contrassegnata dallo spiccato senso del tempo e della necessità di investire ogni suo istante nella costruzione di un mondo migliore di come l'aveva conosciuto nel corso della seconda guerra mondiale, negli anni difficili della ricostruzione, in quelli del “miracolo economico” e del passaggio dagli Stati nazionali alla prospettiva di un’Unione Europea in sempre faticosa ricerca di realizzazione.
   La coerenza si sostanziò nella “professione di fede”. Corrado Sforza Fogliani non tenne mai racchiusi in se stesso i principi cardinali di vita conquistati e assimilati dalla giovinezza. Dedicò anzi gran parte del tempo suo a promuoverli in tutti i modi possibili: con l'esempio nella vita professionale (lo ricordano i suoi “giovani di studio”, i dirigenti, funzionari e impiegati della Banca di Piacenza: il Tempio nel quale entrava per primo e dal quale usciva per ultimo) e con il fervore della “comunicazione”, dal giornalino studentesco negli anni del liceo agli articoli per quotidiani (in specie “il Giornale”), in riviste giuridiche e nei molti volumi sui temi, quali la proprietà, che lo ebbero Maestro di chiara fama: limpidi, concreti, precisi, basati su informazioni di prima mano e svolti secondo impianto logico, volto a con-vincere, a confrontarsi con il lettore per averne il consenso, non forzato ma per adesione alla sua proposta.
Le radici nella “piacentinità”
   Particolarmente significativo risulta il suo impegno di studioso di storia, motivato dalla consapevolezza dell'intreccio tra il “grande flusso” (l'espressione è di Riccardo Bacchelli, scrittore di primissimo piano oggi quasi dimenticato) e le vicende dei singoli uomini, fatte anche della fortuna che aiuta gli audaci. Lo sperimentò per sé dall'incontro giovanile, apparentemente fortuito ma in realtà necessario, con Luigi Einaudi, il cui magistero gli fu guida nei lunghi anni di alfiere del pensiero liberale e di componente del consiglio comunale di Piacenza, carica a lui così cara da volerla rinverdire in tempi recenti quasi per ripetere in quella sede l'heri dicebamus a cospetto di tanti repentini mutamenti di umori dell'elettorato.
   A tacere dei secoli precedenti, per Corrado Sforza Fogliani questa aveva radice e suggello nella scelta che il 10 maggio 1848 fece di Piacenza la Città primogenita della Nuova Italia: una decisione così netta e irrevocabile che nel 1860 non vi fu bisogno di ribadirla con l'elezione di una nuova assemblea, una seconda richiesta di adesione alla Corona sabauda e un plebiscito confermativo.
   Quell'atto politico si sostanziò nelle prime convulse elezioni di deputati di Piacenza alla Camera (quattro chiamate alle urne in soli dieci mesi) e poi venne ribadito da quelli eletti dopo il 1860: il marchese Giuseppe Mischi, l'avvocato Pietro Boschi, il professore Filippo Grandi, Raffaele Garilli, il generale Giacinto Carini, il consigliere di Stato Luigi Gerra, il conte Ludovico Marazzani, l'avvocato Ernesto Pasquali (eletto nel 1870 e in carica sino al 1890 quando Piacenza si riconobbe nel principe Emanuele Ruspoli). Nel frattempo il territorio venne rappresentato alla Camera Alta dai senatori Luigi Malaspina, Pietro Gioia (eletto deputato nel 1848), Pietro Salvatico, Giuseppe Mischi, Alessandro Cavagnari e dal celebre Giuseppe Manfredi (1828-1918), che si affacciò ventenne nell'agone politico con articoli in “Il Tribuno del popolo”, ascese a Procuratore generale in Roma (in quella veste   escogitò l'annullamento delle nozze di Giuseppe Garibaldi con la contessina Rosa Raimondi) e fu presidente del Senato dal 1908 alla morte: uno tra i massimi statisti della Nuova Italia, meritevole di essere riproposto all'attenzione.
   Protagonisti della storia locale e nazionale, sempre in una visione europea del processo in corso, quei parlamentari furono accuratamente indagati da Sforza Fogliani, che si erse ad “Avvocato dell'Italia liberale” e ne consegnò memoria nell'importante saggio su Piacenza nel Risorgimento pubblicato nella monumentale storia della città.
Promotore di studi e saggista
   Anche nel suo “mestiere di storico” attestò coerenza e profuse generosità. Presidente del Comitato piacentino dell'Istituto per la storia del Risorgimento italiano presieduto da Alberto Maria Ghisalberti, poi da Emilia Morelli e infine da Romano Ugolini, Sforza Fogliani promosse e orchestrò importanti convegni di studio e curò molteplici volumi collettanei tra i quali mi limito a ricordare gli Studi in onore di Giovani Forlini (1978), Ottocento piacentino e altri studi in onore di Giuseppe S. Manfredi (1980) e i più recenti Echi e riflessi piacentini dell'avvento della Sinistra al governo visti 130 anni dopo (2007), Piacenza e la Grande Guerra (2014) e La figura di Giovanni Raineri a settant'anni dalla morte (2015), atti del convegno svolto con pari titolo celebrato nel 2014 con prolusione di Aldo G. Ricci, sovrintendente dell'Archivio Centrale dello Stato e conclusioni di Sforza Fogliani su Raineri ministro delle Terre liberate. Di Raineri (1858-1944) promosse anche le Memorie di guerra e di governo, a cura dello stesso prof. Ricci (2016), nella cui premessa Sforza Fogliani ricordò il profondo legame dell'illustre statista con Luigi Luzzatti, pioniere delle banche popolari in Italia, e ne additò a modello la “ricetta contro la corruzione” adottata dal ministro Raineri nella ricostruzione all'indomani della Grande Guerra.
   Nei convegni e nei volumi che ne nacquero Sforza Fogliani si ritagliò uno spazio apparentemente minore e talvolta minimo, quasi manzoniano “cantuccio”, ma sempre su temi di ampio rilievo, trattati con finezza critica e non senza allusioni alla continuità dal passato remoto e prossimo all'età presente. Lo documentano, per esempio, le belle pagine sulle “Inquietudini dell'animo causate da controversie giudiziarie e suo soddisfacimento nel pensiero di Melchiorre Gioia”, in cui illustrò la lungimiranza dell'insigne giurista nel valutare la portata del danno psicologico inferto a chi venga fatto chiamare ingiustamente in giudizio e i modi del suo risarcimento, tra i quali lunghi viaggi ristoratori dell'animo del querelato a totale carico dell'incauto querelante. Altrettanto vale per il saggio su “Un processo di cent'anni fa per uno sciopero di lavoranti panettieri” dal quale l'Avvocato trasse motivo per deplorare l'interferenza di interessi corporativi (sia dei lavoranti, sia degli imprenditori) nella formazione e imposizione del prezzo che deve scaturire dal libero mercato.
   Dal 1959, centenario della seconda guerra per l'indipendenza, poco dopo seguita da quello della proclamazione del regno d’Italia, Sforza Fogliani intraprese un'opera poderosa: la cronologia della storia piacentina, tratta dallo spoglio della miriade dei fogli locali: “La Libertà”, “Il Progresso”, “L'Amico del Popolo”, “Il Piccolo”,... Si stava ponendo, all'epoca, la questione di metodo sui giornali quale fonte per la storiografia. Mentre rimaneva imprescindibile lo scavo degli archivi di enti pubblici (di Stato, provinciali, comunali, notarili...) e di privati (una miriade) e si affermava la valenza degli archivi ecclesiastici, i periodici assunsero peso peculiare, previo vaglio della loro veridicità. Questa, tanto più se commisurata con il giornalismo odierno, emergeva dal controllo reciproco tra le diverse testate, spesso impegnate in dispute animose, e da parte dell'opinione pubblica, che era, in definitiva, l'arbitro ultimo dell’attendibilità della carta stampata e decideva se riconoscersi o meno nei candidati ai consessi locali e alla Camera, sponsorizzati dai diversi e contrapposti giornali. Il modello ideale dell'opera intrapresa da Sforza Fogliani erano i cinque volumi di L'Italia dei cento anni (1800-1900) giorno per giorno di Alfredo Comandini. Al primo volume (1959-1883), edito da Li Causi, altri seguirono (1884-1893 e 1894-1899), curati da Sforza e dalla Consorte, Maria Antonietta De Micheli, come lui appassionata di storia, ed editi dal Comitato di Piacenza dell'Istituto per la storia del Risorgimento italiano.
   La loro esplorazione, forse inizialmente faticosa per il lettore odierno, assuefatto ai flash di agenzie e ai “messaggini”, risulta più che appagante per chi voglia immergersi in un ieri che contiene quasi tutto il presente, nei suoi aspetti più quotidiani e in quelli di lunga durata: l'organizzazione della sanità (la prima legge sulla pubblica igiene venne approvata nel 1890, trent'anni dopo l'unità, e si deve a Francesco Crispi e a Luigi Pagliani, che istituì i medici e i veterinari condotti), l'istruzione in ogni sua forma, la moltiplicazione di forme associative, le banche, l'amministrazione della giustizia e, s'intende, la dialettica politico-elettorale. Non mancano notizie gustose, come l'animoso contrasto tra Felice Cavallotti (eletto deputato di Piacenza nel 1895) e Luigi Illica, culminato in un duello nel cui corso (scrisse “L'Arena di Verona” ripresa dalla piacentina “La Libertà”) Cavallotti si spinse a mordere un polpaccio del rivale.
Il richiamo a Camillo Cavour
   Nel 150° dell'annessione di Roma (passata in terzo piano nell'attenzione della storiografia e della pubblicistica), Sforza Fogliani ripubblicò i tre discorsi nei quali il 25 e 27 marzo 1861 alla Camera e il 9 aprile al Senato Camillo Cavour pose la questione di Roma capitale d'Italia. In un sobrio volumetto pubblicato nelle edizioni di “Libro Aperto”, con postfazione di Antonio Patuelli, tornò alla radice dell'unificazione italiana. Per prendere corpo, essa doveva passare attraverso la debellatio dello Stato Pontificio con quanto ne sarebbe derivato sin dal 1860: la scomunica di Vittorio Emanuele II, dei suoi ministri e di tutta la dirigenza pubblica italiana. Con quella misura estrema Pio IX ritenne di colpire alla radice il nuovo Stato. Lo volesse o meno, compattò attorno alla Corona anche quanti non erano né sabaudisti né monarchici ma convennero che sul piano storico e politico non vi era alternativa a Casa Savoia. Lo affermò Giosuè Carducci che dai fervori garibaldini dei Giambi ed Epodi trascorse all'elogio della Regina Margherita, poi pubblicata nelle Odi barbare. Ancor prima di lui, lo avevano compreso ecclesiastici lungimiranti, come l'abate di Montecassino Luigi Tosti, e il teologo Carlo Passaglia, che nel 1862 lanciò la “Petizione a Pio IX”, sottoscritta da novemila ecclesiastici per addivenire subito alla conciliazione tra la Chiesa e il regno d'Italia, la religione cattolica e il patriottismo. Alle loro spalle avevano il teologo Vincenzo Gioberti e l'abate Antonio Rosmini (nel 2007 proclamato beato), entrambi evocati da Cavour nei citati discorsi
   Con spirito profetico al Senato, che all'epoca sedeva in Torino, a Palazzo Madama, in Piazza Castello, Cavour disse con forza: «Se la corte di Roma accetta le nostre proposte, se si riconcilia coll'Italia, se accoglie il sistema di libertà, fra pochi anni, nel Paese legale, i fautori della Chiesa, o meglio, quelli che chiamerò il partito cattolico, avranno il sopravvento; ed io mi rassegno fin d'ora a finire la mia carriera nei banchi dell’opposizione.» Fu quanto accadde nel 1948, quando, nondimeno, per una imprevedibile eterogenesi dei fini, la straripante vittoria della Democrazia cristiana alle votazioni del 18 aprile si risolse nell'elezione del liberale, monarchico e piemontese Luigi Einaudi alla Presidenza della Repubblica in successione al liberale, monarchico e napoletano Enrico De Nicola.
   “Conciliazione” e fermezza nella difesa della libertà erano stati da decenni al centro della riflessione di Sforza Fogliani quale storico. Ne scrisse con Paola Castellazzi nel succoso saggio sull'istruzione obbligatoria e il voto del Consiglio comunale di Piacenza sulla proposta di abolizione dell'insegnamento religioso nelle scuole primarie, pubblicato in Echi e riflessi piacentini dell'avvento della Sinistra al governo visti 130 anni dopo (Comitato di Piacenza dell'Isri, 2007). Il 4 gennaio 1878 il Consiglio respinse la richiesta avanzata dal consigliere Pallastrelli di «togliere l'insegnamento religioso nelle scuole» in omaggio «ai più lati principi di rispetto per la libertà di coscienza e di pensiero». La Giunta comunale ed il Consesso deliberarono «non tanto in aderenza con l'indirizzo politico del periodo, quanto piuttosto non in contrasto con l'opinione dei piacentini». Precorsero la posizione assunta da Giovanni Giolitti nel 1908 contro la “mozione” del socialista Leonida Bissolati di abolizione dell'insegnamento della religione cattolica nella scuola dell'obbligo. Lo Statista liberale dichiarò lo Stato incompetente in questioni religiose ma al tempo stesso tenne fermo il principio che quell'insegnamento dovesse essere impartito da insegnanti “patentati”, in luoghi e ore stabiliti dall'autorità scolastica. La “mozione Bissolati” ottenne appena 65 voti favorevoli: il 12% dei  su 508 deputati in carica. Fu respinta anche da massoni.
Il Mecenate
   Munifico nei confronti della realizzazione di importanti interventi di restauro di edifici ecclesiastici, Corrado Sforza Fogliani mirò anche al restauro della coscienza nazionale. Lo fece con la discrezione di sempre e, per così dire, in dialogo responsoriale con un piacentino che ho avuto l'onore e il piacere di conoscere e di frequentare assiduamente, don Franco Molinari, «un Voltaire in tonaca – ne scrisse Roberto Gervaso – , uno dei più impertinenti e spregiudicati scrittori cattolici», autore, tra altro, di La massoneria, cattedrale laica della fraternità (ed. Queriniana, un saggio più volte ampliato e ristampato).
   Mi sia consentito infine un ricordo personale. Il 10 maggio dello scorso anno fui a Palazzo Galli per la presentazione del mio libro su “Vittorio Emanuele III. Il re discusso”. Al termine l'Avvocato mi intrattenne a lungo, con l'allora Direttore Generale della Banca di Piacenza. Singolarmente espansivo ci narrò tanti momenti della sua formazione di “liberale per natura, libertario per forza di cose”, a cominciare dalla visita a Einaudi all'Eremo di San Giacomo, in Dogliani. Poi, inevitabilmente, rievocammo amici d'un tempo e sempre presenti in memoria, a cominciare appunto da “don Franco”, che faceva salire in sella alla sua potentissima motocicletta e portava di gran carriera all'Università. La sua morte era stata per entrambi una perdita dolorosissima. Di seguito parlammo del piacentino Marco Bertoncini, saggista perspicace, giornalista, lettore onnivoro, che ci ha improvvisamente lasciati poco tempo fa.
   Al termine Sforza uscì. La serata era ancora fresca. Lo accompagnai un tratto, memore dell'epigrafe trecentesca sormontante una porta del castello di Torrechiara, scelta per la Targa dell'ospitalità piacentina detta del “Benvegnù”: «Signori, voi siete tutti qui bene accetti e ognuno che verrà qui sarà ben accetto e ben trattato». Me l'aveva solennemente consegnata in un precedente incontro. Mi esortò a ripararmi. Mi fermai sulla soglia dell'albergo e lo vidi camminare pacato e solenne verso Piazza Cavalli avvolto nell'impermeabile chiaro. Infondeva sicurezza e serenità. È andato avanti, come dicono gli alpini. E attende.
Aldo A. Mola

DIDASCALIA: Corrado Sforza Fogliani (15 dicembre 1938-10 dicembre 2022) è stato Presidente della Confedilizia, della Banca di Piacenza e di un ampio ventaglio di enti e di associazioni. Liberale “senza se e senza ma”. Più che un esempio, un modello.




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