Lunedì 11 dicembre
2023 per iniziativa del suo presidente avv.
Giuseppe Nenna la Banca di Piacenza ha rievocato
Corrado Sforza Fogliani che la guidò per
decenni. L'incontro è stato aperto
dall'intervento del senatore Pier Ferdinando
Casini, che ne ha sottolineato il suo “rispetto
delle istituzioni che nel Paese oggi è un
principio in via di attenuazione”. Lo scrittore
Marcello Simonetta lo ha definito un “Cosimo de'
Medici dei nostri tempi”. Il nostro
editorialista Aldo A. Mola ha tracciato il
seguente sintetico profilo di Sforza Fogliani
storico del Risorgimento
italiano.
Un genio poliedrico
Nel “Ritratto” di Corrado Sforza
Fogliani scritto in prossimità del suo 80°
compleanno Carlo Giarelli osservò che un suo
ritratto a tutto tondo richiedeva «non un semplice
profilo, ma un'opera monumentale». Ne ricordò
alcuni motti “di famiglia” che gli fecero da
viatico e che dispensò ai suoi discepoli: «Non
contate sul patrimonio e men che meno sul nome, ma
fatevi una posizione personale»; ancora: «fare il
passo che la gamba consente»; e, infine, «la vita
è solo l'occasione per esprimere le nostre qualità
morali».
Uomo dal multiforme ingegno,
avvocato, giurista, banchiere, raffinato esperto
d'arte e cultore di tradizioni civili, nella lunga
vita esemplare Sforza Fogliani spiccò per coerenza
e generosità. La “fede nella libertà”, che
all'osservatore disincantato potrebbe apparire
contraddizione, gli arrivava dai secoli della sua
Casa e dai genitori, che gli furono guida. Era
radicata nella consapevolezza delle disparità
economiche e sociali, quindi nello statuto
intellettuale e costumale dei singoli ma al tempo
stesso nella fiducia nell'incivilimento e, in
definitiva, nella potenziale bontà di ogni uomo.
Questo suo abito intellettuale si espresse in
tutti i campi ai quali si dedicò dalla giovinezza
alla maturità e all'età avanzata, contrassegnata
dallo spiccato senso del tempo e della necessità
di investire ogni suo istante nella costruzione di
un mondo migliore di come l'aveva conosciuto nel
corso della seconda guerra mondiale, negli anni
difficili della ricostruzione, in quelli del
“miracolo economico” e del passaggio dagli Stati
nazionali alla prospettiva di un’Unione Europea in
sempre faticosa ricerca di realizzazione.
La coerenza si sostanziò nella
“professione di fede”. Corrado Sforza Fogliani non
tenne mai racchiusi in se stesso i principi
cardinali di vita conquistati e assimilati dalla
giovinezza. Dedicò anzi gran parte del tempo suo a
promuoverli in tutti i modi possibili: con
l'esempio nella vita professionale (lo ricordano i
suoi “giovani di studio”, i dirigenti, funzionari
e impiegati della Banca di Piacenza: il Tempio nel
quale entrava per primo e dal quale usciva per
ultimo) e con il fervore della “comunicazione”,
dal giornalino studentesco negli anni del liceo
agli articoli per quotidiani (in specie “il
Giornale”), in riviste giuridiche e nei molti
volumi sui temi, quali la proprietà, che lo ebbero
Maestro di chiara fama: limpidi, concreti,
precisi, basati su informazioni di prima mano e
svolti secondo impianto logico, volto a
con-vincere, a confrontarsi con il lettore per
averne il consenso, non forzato ma per adesione
alla sua proposta.
Le radici nella “piacentinità”
Particolarmente significativo risulta
il suo impegno di studioso di storia, motivato
dalla consapevolezza dell'intreccio tra il “grande
flusso” (l'espressione è di Riccardo Bacchelli,
scrittore di primissimo piano oggi quasi
dimenticato) e le vicende dei singoli uomini,
fatte anche della fortuna che aiuta gli audaci. Lo
sperimentò per sé dall'incontro giovanile,
apparentemente fortuito ma in realtà necessario,
con Luigi Einaudi, il cui magistero gli fu guida
nei lunghi anni di alfiere del pensiero liberale e
di componente del consiglio comunale di Piacenza,
carica a lui così cara da volerla rinverdire in
tempi recenti quasi per ripetere in quella sede
l'heri dicebamus a cospetto di tanti repentini
mutamenti di umori dell'elettorato.
A tacere dei secoli precedenti, per
Corrado Sforza Fogliani questa aveva radice e
suggello nella scelta che il 10 maggio 1848 fece
di Piacenza la Città primogenita della Nuova
Italia: una decisione così netta e irrevocabile
che nel 1860 non vi fu bisogno di ribadirla con
l'elezione di una nuova assemblea, una seconda
richiesta di adesione alla Corona sabauda e un
plebiscito confermativo.
Quell'atto politico si sostanziò
nelle prime convulse elezioni di deputati di
Piacenza alla Camera (quattro chiamate alle urne
in soli dieci mesi) e poi venne ribadito da quelli
eletti dopo il 1860: il marchese Giuseppe Mischi,
l'avvocato Pietro Boschi, il professore Filippo
Grandi, Raffaele Garilli, il generale Giacinto
Carini, il consigliere di Stato Luigi Gerra, il
conte Ludovico Marazzani, l'avvocato Ernesto
Pasquali (eletto nel 1870 e in carica sino al 1890
quando Piacenza si riconobbe nel principe Emanuele
Ruspoli). Nel frattempo il territorio venne
rappresentato alla Camera Alta dai senatori Luigi
Malaspina, Pietro Gioia (eletto deputato nel
1848), Pietro Salvatico, Giuseppe Mischi,
Alessandro Cavagnari e dal celebre Giuseppe
Manfredi (1828-1918), che si affacciò ventenne
nell'agone politico con articoli in “Il Tribuno
del popolo”, ascese a Procuratore generale in Roma
(in quella veste escogitò
l'annullamento delle nozze di Giuseppe Garibaldi
con la contessina Rosa Raimondi) e fu presidente
del Senato dal 1908 alla morte: uno tra i massimi
statisti della Nuova Italia, meritevole di essere
riproposto all'attenzione.
Protagonisti della storia locale e
nazionale, sempre in una visione europea del
processo in corso, quei parlamentari furono
accuratamente indagati da Sforza Fogliani, che si
erse ad “Avvocato dell'Italia liberale” e ne
consegnò memoria nell'importante saggio su
Piacenza nel Risorgimento pubblicato nella
monumentale storia della città.
Promotore di studi e saggista
Anche nel suo “mestiere di storico”
attestò coerenza e profuse generosità. Presidente
del Comitato piacentino dell'Istituto per la
storia del Risorgimento italiano presieduto da
Alberto Maria Ghisalberti, poi da Emilia Morelli e
infine da Romano Ugolini, Sforza Fogliani promosse
e orchestrò importanti convegni di studio e curò
molteplici volumi collettanei tra i quali mi
limito a ricordare gli Studi in onore di Giovani
Forlini (1978), Ottocento piacentino e altri studi
in onore di Giuseppe S. Manfredi (1980) e i più
recenti Echi e riflessi piacentini dell'avvento
della Sinistra al governo visti 130 anni dopo
(2007), Piacenza e la Grande Guerra (2014) e La
figura di Giovanni Raineri a settant'anni dalla
morte (2015), atti del convegno svolto con pari
titolo celebrato nel 2014 con prolusione di Aldo
G. Ricci, sovrintendente dell'Archivio Centrale
dello Stato e conclusioni di Sforza Fogliani su
Raineri ministro delle Terre liberate. Di Raineri
(1858-1944) promosse anche le Memorie di guerra e
di governo, a cura dello stesso prof. Ricci
(2016), nella cui premessa Sforza Fogliani ricordò
il profondo legame dell'illustre statista con
Luigi Luzzatti, pioniere delle banche popolari in
Italia, e ne additò a modello la “ricetta contro
la corruzione” adottata dal ministro Raineri nella
ricostruzione all'indomani della Grande Guerra.
Nei convegni e nei volumi che ne
nacquero Sforza Fogliani si ritagliò uno spazio
apparentemente minore e talvolta minimo, quasi
manzoniano “cantuccio”, ma sempre su temi di ampio
rilievo, trattati con finezza critica e non senza
allusioni alla continuità dal passato remoto e
prossimo all'età presente. Lo documentano, per
esempio, le belle pagine sulle “Inquietudini
dell'animo causate da controversie giudiziarie e
suo soddisfacimento nel pensiero di Melchiorre
Gioia”, in cui illustrò la lungimiranza
dell'insigne giurista nel valutare la portata del
danno psicologico inferto a chi venga fatto
chiamare ingiustamente in giudizio e i modi del
suo risarcimento, tra i quali lunghi viaggi
ristoratori dell'animo del querelato a totale
carico dell'incauto querelante. Altrettanto vale
per il saggio su “Un processo di cent'anni fa per
uno sciopero di lavoranti panettieri” dal quale
l'Avvocato trasse motivo per deplorare
l'interferenza di interessi corporativi (sia dei
lavoranti, sia degli imprenditori) nella
formazione e imposizione del prezzo che deve
scaturire dal libero mercato.
Dal 1959, centenario della seconda
guerra per l'indipendenza, poco dopo seguita da
quello della proclamazione del regno d’Italia,
Sforza Fogliani intraprese un'opera poderosa: la
cronologia della storia piacentina, tratta dallo
spoglio della miriade dei fogli locali: “La
Libertà”, “Il Progresso”, “L'Amico del Popolo”,
“Il Piccolo”,... Si stava ponendo, all'epoca, la
questione di metodo sui giornali quale fonte per
la storiografia. Mentre rimaneva imprescindibile
lo scavo degli archivi di enti pubblici (di Stato,
provinciali, comunali, notarili...) e di privati
(una miriade) e si affermava la valenza degli
archivi ecclesiastici, i periodici assunsero peso
peculiare, previo vaglio della loro veridicità.
Questa, tanto più se commisurata con il
giornalismo odierno, emergeva dal controllo
reciproco tra le diverse testate, spesso impegnate
in dispute animose, e da parte dell'opinione
pubblica, che era, in definitiva, l'arbitro ultimo
dell’attendibilità della carta stampata e decideva
se riconoscersi o meno nei candidati ai consessi
locali e alla Camera, sponsorizzati dai diversi e
contrapposti giornali. Il modello ideale
dell'opera intrapresa da Sforza Fogliani erano i
cinque volumi di L'Italia dei cento anni
(1800-1900) giorno per giorno di Alfredo
Comandini. Al primo volume (1959-1883), edito da
Li Causi, altri seguirono (1884-1893 e 1894-1899),
curati da Sforza e dalla Consorte, Maria
Antonietta De Micheli, come lui appassionata di
storia, ed editi dal Comitato di Piacenza
dell'Istituto per la storia del Risorgimento
italiano.
La loro esplorazione, forse
inizialmente faticosa per il lettore odierno,
assuefatto ai flash di agenzie e ai “messaggini”,
risulta più che appagante per chi voglia
immergersi in un ieri che contiene quasi tutto il
presente, nei suoi aspetti più quotidiani e in
quelli di lunga durata: l'organizzazione della
sanità (la prima legge sulla pubblica igiene venne
approvata nel 1890, trent'anni dopo l'unità, e si
deve a Francesco Crispi e a Luigi Pagliani, che
istituì i medici e i veterinari condotti),
l'istruzione in ogni sua forma, la moltiplicazione
di forme associative, le banche, l'amministrazione
della giustizia e, s'intende, la dialettica
politico-elettorale. Non mancano notizie gustose,
come l'animoso contrasto tra Felice Cavallotti
(eletto deputato di Piacenza nel 1895) e Luigi
Illica, culminato in un duello nel cui corso
(scrisse “L'Arena di Verona” ripresa dalla
piacentina “La Libertà”) Cavallotti si spinse a
mordere un polpaccio del rivale.
Il richiamo a Camillo Cavour
Nel 150° dell'annessione di Roma
(passata in terzo piano nell'attenzione della
storiografia e della pubblicistica), Sforza
Fogliani ripubblicò i tre discorsi nei quali il 25
e 27 marzo 1861 alla Camera e il 9 aprile al
Senato Camillo Cavour pose la questione di Roma
capitale d'Italia. In un sobrio volumetto
pubblicato nelle edizioni di “Libro Aperto”, con
postfazione di Antonio Patuelli, tornò alla radice
dell'unificazione italiana. Per prendere corpo,
essa doveva passare attraverso la debellatio dello
Stato Pontificio con quanto ne sarebbe derivato
sin dal 1860: la scomunica di Vittorio Emanuele
II, dei suoi ministri e di tutta la dirigenza
pubblica italiana. Con quella misura estrema Pio
IX ritenne di colpire alla radice il nuovo Stato.
Lo volesse o meno, compattò attorno alla Corona
anche quanti non erano né sabaudisti né monarchici
ma convennero che sul piano storico e politico non
vi era alternativa a Casa Savoia. Lo affermò
Giosuè Carducci che dai fervori garibaldini dei
Giambi ed Epodi trascorse all'elogio della Regina
Margherita, poi pubblicata nelle Odi barbare.
Ancor prima di lui, lo avevano compreso
ecclesiastici lungimiranti, come l'abate di
Montecassino Luigi Tosti, e il teologo Carlo
Passaglia, che nel 1862 lanciò la “Petizione a Pio
IX”, sottoscritta da novemila ecclesiastici per
addivenire subito alla conciliazione tra la Chiesa
e il regno d'Italia, la religione cattolica e il
patriottismo. Alle loro spalle avevano il teologo
Vincenzo Gioberti e l'abate Antonio Rosmini (nel
2007 proclamato beato), entrambi evocati da Cavour
nei citati discorsi
Con spirito profetico al Senato, che
all'epoca sedeva in Torino, a Palazzo Madama, in
Piazza Castello, Cavour disse con forza: «Se la
corte di Roma accetta le nostre proposte, se si
riconcilia coll'Italia, se accoglie il sistema di
libertà, fra pochi anni, nel Paese legale, i
fautori della Chiesa, o meglio, quelli che
chiamerò il partito cattolico, avranno il
sopravvento; ed io mi rassegno fin d'ora a finire
la mia carriera nei banchi dell’opposizione.» Fu
quanto accadde nel 1948, quando, nondimeno, per
una imprevedibile eterogenesi dei fini, la
straripante vittoria della Democrazia cristiana
alle votazioni del 18 aprile si risolse
nell'elezione del liberale, monarchico e
piemontese Luigi Einaudi alla Presidenza della
Repubblica in successione al liberale, monarchico
e napoletano Enrico De Nicola.
“Conciliazione” e fermezza nella
difesa della libertà erano stati da decenni al
centro della riflessione di Sforza Fogliani quale
storico. Ne scrisse con Paola Castellazzi nel
succoso saggio sull'istruzione obbligatoria e il
voto del Consiglio comunale di Piacenza sulla
proposta di abolizione dell'insegnamento religioso
nelle scuole primarie, pubblicato in Echi e
riflessi piacentini dell'avvento della Sinistra al
governo visti 130 anni dopo (Comitato di Piacenza
dell'Isri, 2007). Il 4 gennaio 1878 il Consiglio
respinse la richiesta avanzata dal consigliere
Pallastrelli di «togliere l'insegnamento religioso
nelle scuole» in omaggio «ai più lati principi di
rispetto per la libertà di coscienza e di
pensiero». La Giunta comunale ed il Consesso
deliberarono «non tanto in aderenza con
l'indirizzo politico del periodo, quanto piuttosto
non in contrasto con l'opinione dei piacentini».
Precorsero la posizione assunta da Giovanni
Giolitti nel 1908 contro la “mozione” del
socialista Leonida Bissolati di abolizione
dell'insegnamento della religione cattolica nella
scuola dell'obbligo. Lo Statista liberale dichiarò
lo Stato incompetente in questioni religiose ma al
tempo stesso tenne fermo il principio che
quell'insegnamento dovesse essere impartito da
insegnanti “patentati”, in luoghi e ore stabiliti
dall'autorità scolastica. La “mozione Bissolati”
ottenne appena 65 voti favorevoli: il 12%
dei su 508 deputati in carica. Fu respinta
anche da massoni.
Il Mecenate
Munifico nei confronti della
realizzazione di importanti interventi di restauro
di edifici ecclesiastici, Corrado Sforza Fogliani
mirò anche al restauro della coscienza nazionale.
Lo fece con la discrezione di sempre e, per così
dire, in dialogo responsoriale con un piacentino
che ho avuto l'onore e il piacere di conoscere e
di frequentare assiduamente, don Franco Molinari,
«un Voltaire in tonaca – ne scrisse Roberto
Gervaso – , uno dei più impertinenti e
spregiudicati scrittori cattolici», autore, tra
altro, di La massoneria, cattedrale laica della
fraternità (ed. Queriniana, un saggio più volte
ampliato e ristampato).
Mi sia consentito infine un ricordo
personale. Il 10 maggio dello scorso anno fui a
Palazzo Galli per la presentazione del mio libro
su “Vittorio Emanuele III. Il re discusso”. Al
termine l'Avvocato mi intrattenne a lungo, con
l'allora Direttore Generale della Banca di
Piacenza. Singolarmente espansivo ci narrò tanti
momenti della sua formazione di “liberale per
natura, libertario per forza di cose”, a
cominciare dalla visita a Einaudi all'Eremo di San
Giacomo, in Dogliani. Poi, inevitabilmente,
rievocammo amici d'un tempo e sempre presenti in
memoria, a cominciare appunto da “don Franco”, che
faceva salire in sella alla sua potentissima
motocicletta e portava di gran carriera
all'Università. La sua morte era stata per
entrambi una perdita dolorosissima. Di seguito
parlammo del piacentino Marco Bertoncini, saggista
perspicace, giornalista, lettore onnivoro, che ci
ha improvvisamente lasciati poco tempo fa.
Al termine Sforza uscì. La serata era
ancora fresca. Lo accompagnai un tratto, memore
dell'epigrafe trecentesca sormontante una porta
del castello di Torrechiara, scelta per la Targa
dell'ospitalità piacentina detta del “Benvegnù”:
«Signori, voi siete tutti qui bene accetti e
ognuno che verrà qui sarà ben accetto e ben
trattato». Me l'aveva solennemente consegnata in
un precedente incontro. Mi esortò a ripararmi. Mi
fermai sulla soglia dell'albergo e lo vidi
camminare pacato e solenne verso Piazza Cavalli
avvolto nell'impermeabile chiaro. Infondeva
sicurezza e serenità. È andato avanti, come dicono
gli alpini. E attende.
Aldo A. Mola
DIDASCALIA:
Corrado Sforza Fogliani (15
dicembre 1938-10 dicembre 2022) è stato
Presidente della Confedilizia, della Banca di
Piacenza e di un ampio ventaglio di enti e di
associazioni. Liberale “senza se e senza ma”.
Più che un esempio, un modello.