IL RIPOSO DEL RE
CINQUE ANNI A VICOFORTE
Editoriale di Aldo A.
Mola, pubblicato su "Il Giornale del Piemonte e della Liguria" di
domenica 18 dicembre 2022
Centosessantun anni di
Capi dello Stato: si ri-conoscono?
Dalla proclamazione del Regno d'Italia (14 marzo 1861),
genitore dell'Italia attuale, lo Stato ebbe quattro Capi in
85 anni: Vittorio Emanuele II (1861-1878), Umberto I (1878-1900),
Vittorio Emanuele III (1900-1946) e Umberto II (maggio-giugno 1946). I
primi due riposano al Pantheon, in Roma. “Padre della Patria”, Vittorio
Emanuele morì a soli 58 anni. Suo figlio fu assassinato da un anarchico
quando ne aveva 56. Umberto II (1904-1983), nel 1948 iniquamente
condannato all'esilio perpetuo, dispose di essere sepolto nell'Abbazia
di Altacomba, antico mausoleo della Casa. Dal 1946 si sono susseguiti
dodici altri capi dello Stato. Nel 150° della nascita del regno
d'Italia (2011) il presidente Giorgio Napolitano fu al Pantheon.
Dal 15/17 dicembre 2017 le salme di Vittorio
Emanuele III e della Regina Elena, sua Consorte, riposano nel
Santuario-Basilica di Vicoforte (in provincia di Cuneo) monumento
nazionale dal 1980. Chissà se un giorno un presidente della Repubblica
visiterà il sepolcro del suo predecessore? Ogni giorno di più la Storia
insegna quanto sia pesante il fardello del Potere Supremo, anche di un
Paese a sovranità limitata qual è l'Italia odierna. Motivo di più per
riflettere sul passato, a cospetto delle Tombe di Vicoforte, un borgo
silente del Vecchio Piemonte, due passi da Dogliani, eremo del primo
presidente della Repubblica, Luigi Einaudi, monarchico e liberale.
Finalmente, quei giorni
Cinque anni orsono, il 15 e il 17 dicembre 2017, giunsero in Italia le
salme della Regina Elena e di Vittorio Emanuele III. La loro
traslazione era stata per decenni in vetta alle richieste di monarchici
(partiti, movimenti, associazioni...), dell'Istituto nazionale per la
guardia d'onore alle Reali Tombe del Pantheon e di tanti italiani
rispettosi del passato. Verso fine Novecento, però, per i più prevalse
il motto “prima i vivi, poi i morti”. Fu data precedenza alla richiesta
di abolizione dell'esilio, in vigore dal 1° gennaio 1948, che colpiva
Vittorio Emanuele di Savoia da quando aveva undici anni, e suo figlio,
Emanuele Filiberto, nato a Ginevra il 22 giugno 1972. Il 23 ottobre
2002 il Parlamento approvò la legge costituzionale (in vigore dal 10
novembre successivo) che esaurì gli effetti dei primi due commi della
XIII disposizione transitoria e finale della Costituzione. Essi
privavano dei diritti politici attivi e passivi gli ex re di Casa
Savoia, le loro consorti e i discendenti maschi e ne vietavano
l'ingresso e il soggiorno nel territorio nazionale. Rimasero in vigore
l’avocazione allo Stato dei loro beni esistenti nel territorio
nazionale e l'annullamento di trasferimenti e costituzioni di diritti
reali sugli stessi avvenuti dopo il 2 giugno 1946, giorno
“convenzionale” dell'avvento della Repubblica, che in realtà data dal
19 giugno seguente, come ricorda Argenio Ferrari in “Lex et Libertas in
potestate Regis” (ed. BastogiLibri). La sorte delle Salme finì in un
cono d'ombra.
Alle 7.30 del 15 dicembre 2017, mentre appena
albeggiava, il feretro della regina Elena di Savoia fu estumulato nel
cimitero Saint Lazare di Montpellier, la città ove era morta il 28
novembre 1952 ed era stata inumata il 30 seguente. La Famiglia della
regina fu rappresentata dall’avvocato matuziano Luca Fucini, componente
della Consulta dei senatori del regno, munito di apposita delega.
Malgrado la raccomandazione di assoluta riservatezza, la cerimonia fu
ripresa dalle reti televisive France 2 e Montpellier Actualité,
previamente informate dalla Maire, che officiò da protagonista. Alle
17.30 il feretro giunse al Santuario Vicoforte. Fu accolto dal conte
Federico Radicati di Primeglio, delegato dalla Famiglia Savoia “per
tutti gli atti necessari a estumulazione, traslazione e ritumulazione
delle salme della regina e di Vittorio Emanuele III”, e dal Rettore del
Santuario, monsignor Bartolomeo (Meo) Bessone, vicario della Diocesi di
Mondovì. “Don Meo” impartì la benedizione di rito ed evocò la regina
“Rosa d'Oro della Cristianità”. Uno storico, che da mesi affiancava il
conte Radicati, aggiunse che per allietarsi dell'evento non era
necessario essere monarchici. Bastava sentirsi italiani. La lapide reca
la scritta “Elena di Savoia/ Regina d’Italia/ 1873-1952”.
Tempestivamente informata dell'avvenuta
traslazione, alle 17.45, poco prima che iniziasse la conferenza stampa
convocata dal sindaco di Montpellier, la principessa Maria Gabriella di
Savoia da Ginevra ne dette annuncio con una nota all'Ansa di Parigi.
Ringraziò monsignor Luciano Pacomio, vescovo di Mondovì, catechista
insigne, il Rettore del Santuario, quanti avevano operato “nella
discrezione raccomandata dal vescovo” e aggiunse: “A nome e per conto
dei discendenti dei Sovrani che vissero cinquantun anni di matrimonio
in unione con gli italiani nella buona e nella cattiva sorte e mentre
ricordo mia zia Mafalda, morta tragicamente nel campo di concentramento
in Germania, ove era stata deportata dai nazisti, esprimo profonda
gratitudine al Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, che
propiziò la traslazione delle Salme dei Nonni in Italia, in prossimità
del 70° della morte di Vittorio Emanuele III e nel centenario della
Grande Guerra, per la ricomposizione della memoria nazionale”.
La notizia fece supporre che fosse imminente la
traslazione della salma di Vittorio Emanuele III. Estumulato nella
notte del 16 dal retro dell'altare di Santa Caterina di Alessandria
d'Egitto, sempre presente l'infaticabile conte Radicati, il feretro
arrivò in aereo militare all’aeroporto di Cuneo-Levaldigi e giunse a
Vicoforte sul mezzogiorno del 17 dicembre. Fu tumulato con i dovuti
onori e l'esecuzione del “Silenzio”: mezzo secolo di storia, grande e
drammatica. Sul marmo del sacello è scritto “Vittorio Emanuele III / re
d'Italia / 1869-1947”. Così il Re e la Regina Elena vennero ricongiunti
in Italia. Su entrambe le arche è incisa la Stella d'Italia. A quanti
domandarono perché fossero resi onori militari alla salma del sovrano
venne ricordato che Vittorio Emanuele III si era spento quattro giorni
prima che entrasse in vigore la Costituzione della Repubblica. Non morì
affatto “in esilio” ma cittadino italiano “all'estero”. Si
congedò nella pienezza dei diritti politici e civili, di ex
capo dello Stato e comandante delle Forze Armate.
Gli antefatti della
Traslazione. Perché Vicoforte?
La tumulazione delle salme di Vittorio Emanuele III e della Regina
Elena a Vicoforte fu il punto di arrivo di un lungo percorso. La scelta
prese corpo in una seduta della Consulta dei senatori del regno il 19
marzo 2011 a Roma. Fu scartato il Pantheon per indisponibilità di spazi
idonei alla dignità di Tombe Reali e per previsti intralci di varia
natura e perché non nacque come Mausoleo, qual venne ideato il
Vittoriano. Del pari non venne ritenuta idonea la Basilica di Superga,
ove sono sepolti i Re di Sardegna (a eccezione di Carlo Emanuele IV,
sepolto a Roma), mentre Vittorio Emanuele III fu re d'Italia. Voluto
nel 1596 quale Mausoleo della Casa da Carlo Emanuele I, duca di Savoia
dal 1580 al 1630, il Santuario-Basilica di Vicoforte sorge nel cuore
della Provincia Granda, seconda “culla” dei sovrani sabaudi che la
vissero intensamente, dai Castelli di Racconigi e Valcasotto alle case
di caccia disseminate nelle valli. Vittorio Emanuele III partì per
l'Egitto il 9 maggio 1947 col titolo di conte di Pollenzo, il borgo che
ospita la vasta tenuta regia poco distante da Vicoforte, ove seguì
personalmente i poderi modello avviati sin da Carlo Alberto. Infine il
Santuario, circondato dal verde e immerso nella quiete propiziata dal
vasto spazio tra la sua facciata e la Palazzata (fatta erigere da Carlo
Emanuele I), è affiancato dall'antico monastero cistercense, poi dei
gesuiti e infine seminario vescovile: un complesso identico nei secoli
e incontaminato. È il Grande Silenzio che si addice al riposo eterno.
Il 7 gennaio 2013, previ ripetuti colloqui con il
Rettore del Santuario, la principessa Maria Gabriella di Savoia e il
presidente della Consulta espressero al vescovo di Mondovì, Luciano
Pacomio, il “vivo desiderio di ricongiungere le salme di Vittorio
Emanuele III e della regina Elena in Italia” proprio nel Santuario di
Vicoforte, “che bene si addice ad accoglierle”. Prospettarono una
cerimonia funebre “in forma strettamente privata, così unendo in morte
due italiani che vissero insieme cinquantun anni di matrimonio”.
Anche per far meglio apprezzare il Santuario da
quanti ancora non lo conoscevano, il 16 marzo 2013 fu organizzato a
Vicoforte il convegno di studi “Incontro Umberto II. Trent'anni dopo”
con la partecipazione di Amedeo di Savoia, già duca di Aosta, che nel
1997 vi aveva presieduto il convegno su “L'Italia nella crisi dei
sistemi coloniali fra Otto e Novecento”, con interventi di Eddy Sogno,
Oreste Bovio, Franco Bandini, André Combes, Fernando García Sanz,
Antonio Piromalli e altri. Al termine del convegno la presidente della
Provincia, Gianna Gancia, poi europarlamentare, esortò a esaudire il
voto degli italiani non immemori della storia: dare sepoltura in Patria
al re e alla regina d'Italia. Il 22 aprile 2013, sentiti il consiglio
di amministrazione del Santuario e il suo rettore, il vescovo accolse
l’istanza. Ricordò che Carlo Emanuele I in visita al Pilone dal quale
ebbe origine la Basilica aveva affermato “questa terra è santa,
deponiamo i vecchi calzari”. Chiese però l'impegno a “mantenere il
profilo strettamente privato” della tumulazione, da attuare “nella
forma più discreta, con la collaborazione dei Responsabili del
Santuario”. Avvalorò l'iniziativa alla luce della parola del salmo
39,13: “Siamo tuoi ospiti, pellegrinanti, come tutti i padri nostri”.
Così andava fatto.
Quattro anni dopo, a coronamento di lunghi
preliminari sorti da fortunate convergenze, il 10 maggio 2017 il
principe Vittorio Emanuele di Savoia e la principessa Maria Gabriella,
anche a nome delle sorelle Maria Pia e Maria Beatrice, scrissero al
Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, auspicando che il
Centenario della conclusione della Grande Guerra offrisse motivo per
congiungere le salme del “Re Soldato” e della sua Consorte “in Italia”.
Previ numerosi incontri con il Rettore e il presidente della Consulta,
l'architetto Claudio Bertano approntò il progetto in fitto dialogo con
la Soprintendenza Archeologica Belle Arti e Paesaggio per le Province
di Alessandria, Asti e Cuneo. Venne così avviato l'intervento nella
Cappella di San Bernardo per “la realizzazione di monumenti/arche
funerarie in marmo” in cui deporre “i resti di due persone meritevoli
di speciali onoranze”, non nominativamente specificate. Il 6 novembre
il vescovo e il rettore inoltrarono alla Soprintendenza il progetto,
che fu approvato. Con rapidità e assoluta riservatezza vennero
espletate le complesse procedure previste dalla deliberazione della
Giunta Regionale del Piemonte 8 maggio 2012, n. 27-3831 per il rilascio
di “autorizzazioni concernenti l'individuazione di siti idonei a
tumulazione in località differenti dal cimitero ex art. 105 D.P.R. 10
ottobre 1990, n. 285 e art. 12 L.R. n. 2020/2007”. Acquisiti ope legis
tutti i documenti necessari, in pochi giorni ebbero corso
estumulazione, traslazione e ritumulazione. Consiglieri Presidenziali
dall'occhio d'aquila, usi a intuire e a superare ostacoli altrimenti
insormontabili, vegliarono da lontano e da vicino affinché nulla fosse
lasciato al caso e tutto procedesse nel massimo riserbo. Come infatti
avvenne.
Con pubblica dichiarazione il 17 dicembre, al
termine della sepoltura di Vittorio Emanuele III, il conte Radicati
precisò che il rito si era svolto “nelle forme proprie di una cerimonia
privata”.
Alcune incomprensioni
Alle 21 del 15 dicembre 2017 Vittorio Emanuele di Savoia emanò una
“nota” sulla tumulazione della salma della regina Elena “presso il
Santuario di Vicoforte”. Deplorò che si fosse svolta “in totale
anonimato” (invero, il 17 ad attendere il feretro del re si affollarono
decine di giornalisti e radio/video operatori, garbati e compunti) e
rivendicò il Pantheon per “il riposo dei sovrani sepolti in esilio”.
Con encomiabile tempestività poco dopo rese omaggio alle tombe in
Vicoforte. La traslazione suscitò un ventaglio di dichiarazioni
polemiche contro la figura di Vittorio Emanuele III, colpevole dei tre
“colpi di Stato” che lo “storico” Luigi Salvatorelli, a volte
indulgente a polemiche inconsistenti, gli attribuì nel 1950:
l'intervento dell'Italia nella Grande Guerra (24 maggio 1915); la
mancata proclamazione dello stato d'assedio e l'incarico a Mussolini di
formare il governo (28-31 ottobre 1922); la revoca del “Duce” (25
luglio 1943). Altri aggiunsero la “fuga a Brindisi” (9 settembre 1943)
e la firma delle leggi antiebraiche (1938) dalle conseguenze di lungo
periodo, in specie tra il 1943 e il 1945 nelle regioni
governate dalla Repubblica sociale italiana e di fatto occupate dai
tedeschi (al di fuori, dunque, da ogni responsabilità del re e del
governo Badoglio).
I promotori della traslazione avevano messo in
conto la delusione dell'Istituto nazionale per la Guardia d'onore alle
Reali Tombe del Pantheon (agevolmente superabile con l'adozione, in
forma discreta, da convenire con le autorità competenti, della guardia
anche alle tombe di Vicoforte) e l'irritazione di chi indica nel re
(anziché nel Parlamento, come in effetti è) il “responsabile” delle
leggi razziste. Qualcuno ritenne uno sgarbo non essere stato
previamente informato. Non tutti ebbero chiaro che la deposizione delle
Salme di Vittorio Emanuele III e della Regina Elena nel Santuario di
Vicoforte era un funerale privato, “della Famiglia”, non della “Casa”.
Esigeva il necessario massimo riserbo, sia nel rispetto di quanto
concordato con il vescovo di Mondovì, sia per scongiurare inopportuni
schiamazzi e/o manifestazioni ostili, che avrebbero turbato la
solennità dell'evento: la tumulazione del Re e della Regina sotto la
cupola ellittica più grande del mondo.
Già il 16
dicembre alcuni sedicenti “monarchici” protestarono che “tutti i Reali
d'Italia” dovevano “quanto prima trovare sepoltura nell'unica sede ad
essi deputata: la Basilica del Pantheon”. La complessa e impegnativa
tumulazione nel Santuario di Vicoforte (da taluno sminuito a “chiesetta
di campagna”) andava dunque considerata del tutto effimera e sanata con
altra immediata traslazione. Cinque anni dopo qualcuno continua a
ripeterlo. Parlare è facile. Tra tante professioni di indignazione
(certi “istituti storici”, parlamentari, circoli e associazioni varie)
il sindaco di una città di qualche peso nella “Granda” affermò che non
sarebbe mai andato a pregare in un santuario contaminato dalla salma di
quel re. Se così dovesse essere, chi mai pregherebbe nella basilica di
San Pietro a Roma, voluta da papa Giulio II che a ottant'anni indossò
l'armatura al grido “Fuori i barbari”? E poi la preghiera chiede forse
un “luogo” che non sia l'“anima”? A cospetto di tante esternazioni
polemiche il presidente della Repubblica Mattarella e quello del
Consiglio dei ministri, Paolo Gentiloni, motivarono il concorso
pubblico alla traslazione come “gesto umanitario”. Riecheggiò quanto
proposto e sancito dal vescovo di Mondovì monsignor Luciano Pacomio: la
“carità” nei confronti di “due persone meritevoli di speciali
onoranze”, provate dal lutto (la morte della figlia Mafalda d'Assia in
campo di concentramento in Germania) al pari di tanti italiani,
“pellegrinanti, come tutti i padri nostri”.
Per prevenire gesti inconsulti, il prefetto di
Cuneo dispose che la cancellata della Cappella di San Bernardo
rimanesse chiusa sino a quando le tombe non fossero tutelate, come
sono, da videosorveglianza e sistema di allarme. Dal 28 dicembre 2017,
70° della morte di Vittorio Emanuele III, esse furono e sono meta di un
numero crescente di “boni viri” d'ogni Paese che si raccolgono in
meditazione su monumenti evocativi della Storia e ripetono con Ugo
Foscolo: “la vostra tomba è un'ara”. Al di là di dispute irrilevanti,
la traslazione delle reali salme a Vicoforte propizia la rivisitazione
storiografica del lungo e travagliato regno di Vittorio Emanuele III e
pacate risposte ai molti interrogativi ancora aperti sulla storia
d'Italia. Dalla Cappella intitolata a San Bernardo, il monaco
pellegrino fondatore dei cistercensi, venerato da cattolici, anglicani
e riformati, Vittorio Emanuele III e la Regina Elena ricordano che sin
dall'origine i Savoia furono europei, di un'Europa più ampia
dell'attuale. Lo ha ricordato l'Ambasciatrice del Montenegro, Milena
Sofranac, che lo scorso 6 novembre rese omaggio alla regina d'Italia
nata cristiana ortodossa a Cettigne.
Aldo A. Mola
DIDASCALIA: La Cappella di San Bernardo del Santuario di Vicoforte ove
da cinque anni riposano Vittorio Emanuele III e la Regina Elena. La
continuità tra il Regno d'Italia e la Repubblica è documentata da Tito
Lucrezio Rizzo, già Consigliere capo servizio al Quirinale, nel corposo
volume “Il Capo dello Stato dalla Monarchia alla Repubblica
(1848-2022)”, Roma, Herald Editore (heraldeditore@gmail.com), 2022.